IL FALSO NELLO SPAZIO PUBBLICO
L’idea che i confini dell’impero della credulità siano stabiliti
dall’irrazionalità, la stupidità o la mancanza di cultura è una concezione antica
nella storia del pensiero. La si ritrova
negli scritti di Montaigne, di Fontenelle o anche presso gli enciclopedisti,
che individuano nell’ignoranza la causa di ogni genere di credenza. Quest’idea
autorizza a immaginare una società liberata dalle derive della credulità. Esse resistono,
si ritiene, presso popoli primitivi e, nelle nostre società, sono relegate dove
gli individui sono poco istruiti (si pensa principalmente al mondo contadino),
ma la luce dell’istruzione distruggerà presto quest’ombra opprimente che ha zavorrato
il destino dell’umanità. In effetti sono stati in molti a ritenere che il
progresso della ragione sarebbe stato in grado di far sviluppare una società
dove tutte le forme di superstizione e di false credenze sarebbero state
bandite. Paul Bert non dichiarò forse: “Con la scienza non si crederà più ai
miracoli, non ci saranno più superstizioni né colpi di stato e rivoluzioni”?
Edward Burnett Tylor, il primo antropologo “istituzionale” della storia (nel
1896 occupava la cattedra di antropologia a Oxford), era anche lui dell’idea – perfetta
sintesi di molte delle tesi in auge a quei tempi – che la storia sarebbe stata dominata
dallo sviluppo, sempre più complesso e razionale, della mente umana. Secondo
lui, le credenze, i miti, tutto quello che allontana il pensiero dalla
razionalità oggettiva, sono residui dei tempi andati, utili all’antropologo che
voglia studiare l’antica struttura del nostro processo cognitivo, ma condannati a sparire dalle società moderne.
Affermazioni di questo tipo sono quindi molto numerose. Possiamo senz’altro
concedere che l’aumentato livello di studi, la massificazione dell’accesso
all’informazione e lo sviluppo della scienza hanno contribuito a sradicare
dallo spazio pubblico false idee dei più diversi generi. Per esmpio, per quanto metaforica possa essere
la nostra rappresentazione della nascita dell’universo, l’immaginiamo più
facilmente come la conseguenza del Big Bang che come risultato della divisione in
due di un titano come si narra nell’Enûma Eliš babilonese.
Eppure uno sguardo anche molto superficiale sulla nostra vita collettiva ci
mostra la persistenza e addirittura la buona salute della credulità collettiva.
Perché le previsioni dei pensatori dell’Illuminismo e di molti di coloro che
sono venuti dopo si sono rivelate così sbagliate su questo punto?
E’ opportuno tenere distinte le due questioni: perché le credenze
persistono in generale e perché hanno una grande vitalità oggi in particolare.
Entrambe le domande sono appassionanti, ma solo la seconda sarà oggetto di questo
articolo (1) che mostrerà alcune delle mutazioni del credere in rapporto
principalmente al modo in cui i contemporanei hanno accesso alle informazioni
che dovrebbero aiutarli a nutrire la loro concezione del mondo.
Il teorema della credulità informazionale
E’ lecito affermare che il mercato cognitivo (2) nelle società occidentali
contemporanee è globalmente liberale nella misura in cui, fatte salve rare
eccezioni, i suoi prodotti non subiscono tassazioni o censure. Tale liberalismo
cognitivo è una conseguenza della stessa democrazia: nel 1789 esso è stato
considerato uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Esso è autorizzato da
decisioni politiche e reso possibile dalle innovazioni tecnologiche. Internet
ne è un’emblematica manifestazione. Il liberalismo politico e tecnologico del
mercato cognitivo ha come inevitabile conseguenza la diffusione di massa dell’informazione. Per fare un esempio: nel 2005 l’umanità aveva
prodotto nel complesso 150 exabit di
dati, una quantità ciclopica; nel 2010 ne ha prodotti otto volte di più! Insomma,
si diffonde una sempre maggiore quantità di informazione, tanto che già oggi
questo può essere considerato un fatto di portata storica per l’umanità. Ma è
lecito chiedersi cosa tutto questo comporti. C’è più informazione disponibile?
Tanto meglio per la democrazia e tanto meglio per la cultura che finirà
certamente per imporsi.
Tale punto di vista è però troppo ottimista. Vi si suppone che, nella
libera concorrenza tra credenze e conoscenze metodiche, le seconde avranno sicuramente
la meglio. In realtà, in presenza di una pletorica offerta del mercato,
l’individuo può essere tentato d costruire una rappresentazione del mondo
mentalmente comoda piuttosto che vera. In altri termini, la pluralità di
proposte che gli vengono fatte gli permette di evitare con minimo sforzo i
disagi mentali che sono spesso la conseguenza di un processo culturale.
L’esplosione dell’offerta alimenta
il mercato delle proposte cognitive alternative e la loro maggiore accessibilità.
La conseguenza di questo stato di cose poco visibile, eppure determinante, è
che tutto concorre a far sì che l’inclinazione
alla conferma
eserciti al meglio la sua abilità nel distoglierci dalla verità. Tra tutte le
tentazioni inferenziali che pesano sulla logica ordinaria, l’inclinazione alla
conferma è sicuramente la principale nel processo di perpetuazione delle
credenze. Se ne trova una descrizione già nell’aforisma 46 del Novum Organum di Francis Bacon:
“L’intelletto umano, una
volta che si sia compiaciuto di certe opinioni (o perché le ritiene vere o
perché sono piacevoli) costringe tutto il resto a rinsaldarle o a confermarle;
per quanto forti e numerose possano essere le istanze contrarie, non ne tiene
conto, le disprezza o le scarta e le rifiuta mediante dei distinguo che
conservano intatta l’autorità accordata alle idee iniziali non senza un pregiudizio
grave e funesto.”
L’inclinazione alla conferma permette quindi di consolidare qualsiasi tipo
di credenza, dalle più spettacolari alle più anodine come le manie superstiziose
che si radicano in noi perché selezioniamo solo i casi fortunati che si
ritengono favoriti da questo o quel rituale. In sostanza è spesso possibile
reperire dati su fatti non incompatibili con un’affermazione dubbia, ma questa non
può essere considerata una conferma se non si tiene conto del numero percentuale
di fatti che la contraddicono o addirittura si ignora la loro esistenza.
Anche se questa bulimia per la conferma non è espressione di un’obiettiva
razionalità ci facilita, in un certo modo, l’esistenza. Un processo di
falsificazione è senza dubbio più efficace se lo scopo è quello di cercare la
verità, perché diminuisce la probabilità di fare l’errore di considerare vere le
cose false. D’altra parte esso esige un investimento di tempo ed energia
mentale che può essere esorbitante (3). In realtà gli attori sociali accettano
alcune spiegazioni obbiettivamente discutibili solo perché appaiono pertinenti, nel senso che Don Sperber e
Deirdre Wilson hanno dato a questo termine (4). In presenza di disaccordo,
spiegano, si opterà per la soluzione che produce il maggior effetto cognitivo
con il minore sforzo mentale. Dato che le credenze spesso propongono soluzioni
che si adattano alla naturale tendenza del pensiero e sono sostenute dall’inclinazione
alla conferma, esse producono un effetto cognitivo molto vantaggioso se
rapportato allo sforzo mentale richiesto. Una volta accettata un’idea gli
individui, come mostrano Lee Ross e Mark Leeper (5), persevereranno nella loro credenza.
Lo faranno tanto più facilmente quanto più la diffusione crescente e non
selettiva dell’informazione renderà più probabile reperire “dati” che confermano
la loro credenza. Uno crede all’efficacia dell’omeopatia? Grazie a un qualsiasi
motore di ricerca su Internet e con qualche click, egli troverà centinaia di
siti che gli permetteranno di consolidare la credenza. Uno studio condotto nel
2006 si è interessato ai lettori dei blog politici; non è sorprendente che
abbia mostrato che il 94% delle 2300 persone interrogate consultano solo i blog
che sono in accordo con il loro modo di pensare (6). Equivalentemente, gli
acquirenti di libri di argomento politico acquistati su Amazon scelgono sempre più
spesso in base alle loro preferenze politiche. Si tratta di una realtà antica
come l’uomo che, come l’inclinazione alla conferma, tenendo conto della
rivoluzione nel mercato cognitivo, permette di dedurre il teorema della credulità
informazionale. Il teorema si fonda sul fatto che il meccanismo di ricerca
selettiva dell’informazione è reso più semplice dalla massificazione dell’informazione
stessa. Tutto concorre ad assicurare l’imperitura sopravvivenza dell’impero
delle credenze. Il teorema può essere enunciato in forma semplice: più il
numero di informazioni non selezionate diventerà grande nello spazio sociale
più la credulità si propagherà.
Le credenze dominano il mercato cognitivo
Quale punto di vista rischia di incontrare su Internet un internauta senza
idee preconcette che si serva di un motore di ricerca Google per farsi un’opinione
a proposito di un tema generatore di credenze? Ho tentato di simulare il modo
con cui l’internauta medio potrebbe accedere a una data offerta cognitiva su
alcuni soggetti: l’astrologia, il mostro di Loch Ness, i cerchi nei campi
coltivati (crop circles: grandi cerchi che appaiono misteriosamente,
generalmente nei campi di grano), la psicocinesi (7)… Queste affermazioni mi
sono parse interessanti dato che l’ortodossia scientifica contesta la realtà
delle credenze che esse ispirano. Non è necessario qui porsi la questione della
verità o falsità di tali enunciati (forse scopriremo un giorno che esiste
davvero un dinosauro con le pinne in un lago scozzese), ma solo osservare la
contrapposizione tra risposte che possono rifarsi all’ortodossia scientifica e
altre che non possono farlo (ragion per cui io le chiamo per semplicità “credenze”).
Esse offrono un punto di osservazione interessante per valutare il grado di
visibilità delle affermazioni dubbie.
Ora, i risultati sono senza appello, come mostra la seguente tabella:
Competizione tra credenze e conoscenze in Internet
|
Numero di siti tra i primi trenta
|
Favorevoli alla credenza
|
Contrari alla credenza
|
Neutri o non pertinenti
|
Astrologia
|
28
|
1
|
1
|
Mostro di Loch Ness
|
14
|
4
|
12
|
Crop circles
|
14
|
2
|
14
|
Psicocinesi
|
17
|
6
|
7
|
Considerando solo i siti che sostengono argomenti a favore o contro, si
trova, in media, che più dell’80% dei siti, tra le prime trenta pagine proposte
da Google su uno dei soggetti, sono credenti.
Come si spiega questa situazione?
In realtà Internet è un mercato molto sensibile alla strutturazione
dell’offerta e ogni offerta dipende molto dalla motivazione dell’offerente. Si
scopre che i credenti, generalmente più motivati dei non credenti a difendere
il loro punto di vista, vi dedicano più tempo. Il credente vive la credenza come
una parte affascinante della propria identità, sentendo perciò l’impulso a
cercare nuove informazioni che rinforzino la sua adesione. Il non-credente sarà
spesso sostanzialmente indifferente, per rifiutare la credenza egli non sentirà
di aver bisogno di altra giustificazione oltre quella della fragilità con cui
essa è enunciata. Questa situazione è evidente anche sui forum di Internet dove
qualche volta i credenti e i non credenti si contrappongono. Nei 23 forum che ho
studiato (considerando tutt’e quattro le credenze) vengono espressi 211 punti
di vista, tra cui 83 sono a favore della credenza, 45 contro e 83 sono neutri.
Quello che colpisce nel leggere i forum è che gli scettici si contentano spesso
di scrivere dei messaggi ironici, si prendono gioco della credenza piuttosto
che argomentare contro, mentre i difensori dell’enunciato si servono dei più svariati
strumenti per supportare il loro punto di vista (link, video, frasi copia-e-incolla …). Il 36% dei post che
difendono le credenze sono sostenuti da un documento, un link o
un’argomentazione articolata, mentre per i “non-credenti” ciò accade solo nel
10% dei casi. Gli uomini di scienza in generale non hanno molto interesse, né
accademico né personale, a dedicare tempo a questa sfida; la conseguenza un po’
paradossale di questa situazione è che i credenti, e questo su qualsiasi
soggetto, sono riusciti a stabilire un oligopolio cognitivo su Internet e, su
alcuni temi (soprattutto quelli che si occupano di rischi: OGM, radiazioni di
bassa frequenza, etc.) anche sui media ufficiali che sono diventati
ipersensibili alle sorgenti d’informazione eterodossa.
Io non credo che si possa affermare che Internet rende la gente più stupida
o più intelligente, ma è proprio il suo modo di funzionare a favorire alcune
propensioni della nostra mente e a presentare l’informazione con una struttura spesso
non adatta alla conoscenza ortodossa. In altri termini, la libera concorrenza
delle idee non favorisce sempre il pensiero metodico e ragionevole.
Il mille foglie argomentativo
I rumor e le leggende sui complotti sono per molto tempo stati patrimonio
della conversazione: queste storie si tramettevano nello spazio sociale per
mezzo del passaparola. Questo in larga misura succede ancora, ma Internet offre
loro un nuovo modo di diffusione. Mentre in passato i costi per entrare nel
mercato potevano essere elevati (scrivere un libro, scrivere un articolo su un
supporto diffuso e distribuito…), Internet permette a chiunque di produrre
un’argomentazione accessibile a tutti (sotto forma di un testo, di un’immagine,
di un filmato…). Tre sono le principali conseguenze per l’universo della
credenza. Prima di tutto Internet abbassa il livello di labilità proprio di un qualsiasi
colloquio diretto. La labilità è proprio quello che caratterizza lo scambio di informazioni
tra individui come mostrato nei celebri lavori sul rumor di Gordon Allport e
Joseph Postman (1947).
In secondo luogo, la stabilità del racconto, resa possibile dalla scrittura,
accresce automaticamente la possibilità di memorizzarlo. La disponibilità
dell’informazione costituisce una sorta di protesi mnemonica per l’individuo.
Infine, cosa più importante di tutte, la disponibilità e perennità
dell’informazione favorisce alcuni processi di accumulo: un mutuo sostegno tra
i vari argomenti della credenza.
I fenomeni di credenza non hanno certamente il monopolio del processo di
mutuo sostegno tra informazioni dovuto a Internet. Esso può, per esempio,
essere utile quando si tratti di facilitare la coordinazione tra dati sparsi
per il mondo sulle malattie rare. D’altra parte, gli stessi meccanismi che
favoriscono l’accumulo di conoscenze, contribuiscono alla costituzione di prodotti
cognitivi sotto forma di una sorta di mille-foglie argomentativo temibilmente
convincente. Prima della rivoluzione del mercato cognitivo operata da Internet,
il mito del complotto, quando non dava luogo alla pubblicazione di un libro, era
sostanzialmente confidenziale e, potendo fondarsi solo su quei pochi argomenti
memorizzabili dai credenti, aveva carattere vagamente folcloristico. Si
accusava, per esempio, la marca di sigarette Marlboro di essere alle dipendenze
del Ku Klux Klan, portando però come solo argomento il fatto che guardando il
pacchetto con una precisa inclinazione apparivano tre K rosse su fondo bianco.
Le tre K costituivano la prova dell’influenza del gruppo razzista sulla
Marlboro. Un simile argomento, si deve ammettere, è troppo debole per avere una
diffusione massiccia e incondizionata. I miti del complotto contemporanei hanno
saputo ottimizzare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie
dell’informazione per aumentare la loro audience. Leggendo, anche in modo
superficiale, i siti cospirazionisti che si occupano di spiegare gli attentati
dell’11 Settembre o la morte di Mickael Jackson, si rimane colpiti dall’ampiezza
degli argomenti sviluppati. E’ sorprendentemente difficile, per una persona non
preparata, replicare razionalmente a un tale numero di pseudo-prove.
La situazione informazionale della contemporaneità fornisce dunque un
sostegno tecnico a tutti coloro che vogliono aggregare elementi argomentativi
che, separatamente, potrebbero apparire irrilevanti ed essere facilmente
invalidati, ma che, mutuamente, formano un corpo argomentativo che è costoso,
in tempo ed energia, cercare di ridurre a niente. Anche solo limitandosi, per
esempio, ai miti cospirazionisti che pretendono che la versione ufficiale degli
attentati dell’11 Settembre sia falsa, si scopre che sono sostenuti da
centinaia di argomenti diversi! Alcuni si servono della fisica dei materiali,
altri della sismologia o ancora dell’andamento dei titoli in borsa. Per contro-argomentare
sarebbe necessario un bagaglio di competenze che una singola persona non è in
grado di mettere in gioco.
Sono molte le caratteristiche della contemporaneità informazionale che
concorrono a far crescere una democrazia di creduloni, molte cose si potrebbero
aggiungere a questo proposito. Avrei potuto aggiungere, per esempio, che la
rivoluzione del mercato cognitivo produce una pressione concorrenziale che pone
i media ortodossi in una posizione delicata, riducendo automaticamente i tempi
di verifica delle informazioni. Avrei potuto mostrare inoltre che questa
situazione riduce i tempi necessari all’incubazione di un mito collettivo e
accresce quindi il numero di favole che attraversano il nostro spazio pubblico.
Sarebbe infine possibile mostrare che i contemporanei non sono indotti a
credere necessariamente e incondizionatamente a cose false, ma che la tendenza ad
avvalorare visioni paranoidi del mondo è comunque facilitata. Senza dubbio non è
estraneo a tutto questo l’emergere di un sentimento di diffidenza di cui
testimoniano numerose inchieste condotte nelle democrazie contemporanee:
diffidenza nei confronti dei politici, dei media, degli esperti, degli
scienziati…E’ vero che la diffidenza che ispira il potere è connaturata alla
democrazia, come ricorda Rosanvallon (2006), ma nel braccio di ferro tra
democrazia dei creduloni e democrazia della conoscenza, essa viene in sostegno
della prima piuttosto che della seconda.
Note dell'autore
(1) Ho trattato la prima dettagliatamente in “L’empire des croyances” (PUF, 2003) e in “Vite e mort des croyances collectives” (Herman, 2006)
(2) Con l’immagine di mercato cognitivo si vuole rappresentare lo spazio
fittizio dentro il quale si diffondono i prodotti che informano la nostra
visione del mondo: ipotesi, credenze, informazioni, etc. I prodotti cognitivi
possono essere in aperta concorrenza tra di loro o, al contrario, in una
situazione di oligopolio, o addirittura di monopolio. La misura della più o
meno ampia liberalizzazione del mercato è fatta con criteri diversi, il più
importante dei quali è la politica.
(3) Come sottolinea James Friedrich in “Primary detection and minimization
strategies in social cognition: a reinterpretation of confirmation bias
phenomena”, Psychological Review, n.
100, vol. 2, 1993, p.298-319.
(4) Don Sperber e Deirdre Wilson, La
pertinence, Communication et cognition, Minuit, 1989.
(5) Lee Ross e Mark Leeper, “The perseverance of bieliefs: Empirical and
normative considerations” in Richard Shweder e Donald Fiske, New direction for methodology of bejavioral
science: faillible judgement in behavioral research, San Francisco,
Jossey-Bass, 1980.
(7) Qui ho solo riportato alcuni risultati, per lo studio completo e il
metodo seguito cf. Gérard Bronner, “La
democratie des crédules” (PUF, 2013)
(8) Marc Loriol, “Faire exister une
maladie controversée”, Sciences Sociales et santé, 4, 2003.
(9) Veronique Campion-Vincent e Jean-Bruno Renard, Légendes urbaines.
Rumeurs d’aujourd’hui, Payot, 2002, p. 369.
(10) Anfossi, “La sociologie au pays des croyances conspirationnistes. Le theater du 11 Septembre”, tesi di master inedito, Strasbourg, 2010.
Gérard Bronner è professore di sociologia e membro dell’Istituto
universitario di Francia. E’ specialista in credenze collettive e in fenomeni di cognizione sociale, sui quali ha
pubblicato numerosi libri tra cui “L’empire
des croyances” (PUF, 2003), insignito del premio dell’Académie des sciences
morales et politiques, “L’empire de l’erreur. Eléments de sociologie cognitive” (PUF,
2007), “L’inquiétant principe de
precaution” scritto con Etienne Géhin (PUF, 2010) e “La
démocratie des crédules” (PUF, marzo 2013).
La démocratie des crédules
Prefazione
Questo libro si occupa di media, di credenze, di informazione, di
Internet…ma che non vi si veda un attacco critico al sistema mediatico che
configuri, con seducente indignazione, l’idea di un complotto contro la verità
al servizio di una società dominante. Questo genere di teorie sia che si tratti
di cospirazionismo che, in modo più sottile, di idee che si autodefiniscono
“critiche”, mi hanno sempre dato l’idea di infantilismo intellettuale. Non che
i tentativi di manipolazione delle opinioni non esistano, o che il compromesso
o addirittura la corruzione siano assenti dal mondo, tutt’altro, ma
l’essenziale non è qui.
In un certo senso, la realtà mi appare ancora più inquietante dei miti, per
quanto elaborati, che immaginano che il sistema mediatico, mano nella mano con
il mondo industriale e il mondo scientifico – o non so chi altro – si mettano
d’accordo per allontanare il “popolo” dalla verità. Più inquietante perché i
processi che verranno descritti in questo libro che permettono al falso e al
dubbio di impadronirsi dello spazio pubblico, sono favoriti dallo sviluppo
della tecnologia dell’informazione, dal funzionamento della nostra mente e persino dalla natura della democrazia…Più
inquietante dunque perché siamo tutti responsabili di quello che ci sta
succedendo.
Quarta di copertina
Perché i miti del complotto conquistano la mente dei contemporanei? Perché
la politica tende a “popolizzarsi”? Perché non si ha più fiducia negli uomini
di scienza? Come è possibile che un ragazzo che sosteneva di essere figlio di
Mickael Jackson e di essere stato violentato da Nicolas Sarkozy sia stato
intervistato da un importante telegiornale in prima serata? Come accade, in
generale, che fatti immaginari, inventati, visibilmente menzogneri, riescano a
diffondersi, ad avere l’adesione del
pubblico, a influire sulle decisioni dei politici, in una parola, a forgiare una parte del mondo nel quale
viviamo? Vuol dire che non era così ragionevole sperare che con la libera
circolazione dell’informazione e l’accresciuto livello di studi, le società
democratiche avrebbero teso verso una forma di saggezza collettiva?
Questo stimolante saggio propone, portando numerosi esempi, di rispondere a
tutte queste domande mostrando come le condizioni della vita contemporanea si
sono alleate con il funzionamento profondo del cervello per far di noi degli
sciocchi. E’ urgente capirlo.